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Schegge di Luce | 12 febbraio 2023, 09:05

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di Claudio Bo

Commento del Vangelo della Messa del 12 febbraio, VI domenica del Tempo ordinario

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di Claudio Bo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». (Mt 5,17-37).


Oggi, 12 febbraio, la Chiesa giunge alla VI domenica del Tempo ordinario (Anno A, colore liturgico verde). A commentare il Vangelo della Santa Messa è Claudio Bo, diacono della chiesa Battista di Mondovì.

Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di Luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.
Siamo nell’ambito del discorso della montagna, le “Beatitudini”, vale a dire una sorta di “manifesto” della professione cristiana. Non va sottovalutato questo aspetto per così dire “plateale”: un discorso alle folle, che si apre con un’enfasi poetica ed etica attraverso una tipica figura retorica: la ripetizione della parola “Beati”, a cui si affianca una logica controintuitiva. La beatitudine è l’opposto della potenza terrena. Dopo questo enunciato, Cristo elogia i fedeli, ne esalta le qualità e li esorta ad agire, a farsi conoscere per le loro buone opere, ma anche per la luce che promana dalla loro Fede. Segue il lungo brano scelto per questa riflessione: l’ammonimento.
Nel brano scelto compaiono una serie di figure retoriche tipiche dell’oratoria: non uccidere? Per peccare basta l’insulto. Non cedere alle passioni? Per peccare basta il desiderio e lo scandalo. Non giurare il falso? In realtà non bisogna giurare affatto. Non ripudiare la moglie, fai vincere l’amore. Non serbare rancore, fai vincere l’amicizia e la fraternità.
Su questo arcinoto brano di Matteo si sono accesi i fuochi di mille polemiche, a partire da quella sul divorzio, sino a quella sulla castità, visto il riferimento alle parti del corpo oggetto di scandalo. Non poteva essere diversamente: nell’enfasi oratoria Gesù porta alle estreme conseguenze il suo ragionamento proprio per inculcarlo nelle teste degli astanti.
Una spia di questa enfasi è la famosa parola “raca” che molte traduzioni preferiscono lasciare invece della parola stupido. Raca è una voce aramaica, di probabile origine accadica o caldea, che molto semplicemente significa “stupido o testa vuota”.
Ad ognuno di noi è capitato di dire stupido a qualcuno, così come “pazzo”, spesso entrambi i termini non sono neppure usati in maniera pesantemente offensiva, ma canzonatoria. In tanti casi nella parlata comune “pazzo” significa strambo o originale. Per questo dovremmo venire trascinati in tribunale? Ovviamente non sempre, ma è necessario, come per l’intero discorso, capire il contesto: Gesù arringa le folle e parla della nuova legge di amore e rispetto reciproco che è venuto a dare agli uomini. Pochi versetti dopo pronuncerà il famoso “porgi l’altra guancia” e “ama il tuo nemico” (cfr. Lc 6: 27 – 38).
Insomma, siamo nel cuore del messaggio cristiano ed è uno dei motivi per cui questa rara parola, “raca”, ha continuato a girare, così come l’enfasi su alcuni concetti, che, invece, non possono non venire contestualizzati.
Quanto premesso non intende togliere nulla alla potenza escatologica del “discorso della montagna”: Matteo 5 è in qualche modo la “summa” della predicazione cristologica, un discorso dottrinario in cui si fissano dei valori assoluti e irrinunciabili, in particolar modo i principi della fraternità fra figli di Dio.
Come coniugare questi dettami, giustamente severi, con “il dolce giogo e il carico leggero” (Mt. 11: 28 – 30) che lo stesso Salvatore ci promette? Semplicemente ricordandosi che “le Beatitudini” derivano dalla Grazia di Dio, è questa straordinaria forza che il fedele riceve gratuitamente dal Padre e che induce in lui la Fede. E la risposta del convertito (la metanòia) dovrebbe essere quotidiana e costante, anche se così non è. Da qui la necessità della conversione continua, e della Fede nella Grazia di Dio, la sola che ci può portare alla salvezza, perché siamo tutti peccatori senza scampo.
A maggior ragione gli ammonimenti che abbiamo letto in apertura potrebbero apparirci come altrettante sfide se non potessimo confidare nella Grazia di Dio che costantemente ci richiama alla Fede.
Insomma, come scrive Lutero, portando alle estreme conseguenze il dono della Grazia: «Pecca fortiter sed crede fortius, sed fortius fide et gaude in Christo (Pecca fortemente, ma più fortemente credi, ma con più forza confida e godi in Cristo)».

Silvia Gullino

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