Due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per un analogo periodo.
E’ la condanna che il Tribunale di Asti in composizione collegiale (presidente la dottoressa Claudia Beconi) ha inflitto al termine del primo grado di giudizio nel processo che vedeva alla sbarra il maresciallo Atanasio Arena, all’epoca dei fatti comandante della Stazione Carabinieri di Monforte d’Alba (in conseguenza degli stessi è stato destinato ad altro incarico, nell’attesa che il processo a suo carico faccia il suo corso), chiamato a rispondere di peculato con l’accusa di essersi appropriato di due oggetti di valore – un orologio Rolex e una fotocamera – di proprietà di un turista con passaporto irlandese e statunitense che il 25 settembre 2018 si tolse la vita all’interno dell’alloggio nel centro langarolo nel quale da alcuni mesi lo stesso aveva preso dimora.
Erano stati i parenti dell’uomo, giunti in Italia dopo essere stati avvisati dell’accaduto, a segnalare come dall’abitazione del congiunto mancassero quei due preziosi oggetti.
Da qui i sospetti rivolti nei confronti di quanti in occasione della tragedia erano intervenuti nel prestare soccorso all’uomo e le indagini avviate dal Comando provinciale dell’Arma, che aveva acquisito anche le immagini della video sorveglianza interna alla caserma.
All’esito delle indagini il maresciallo era stato quindi rinviato a giudizio con l’accusa contemplata dall’articolo 314 del Codice Penale, che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, per ragioni del suo ufficio, avendone il possesso, si appropri di denaro o beni altrui. Un reato che prevede, in caso di condanna, la reclusione da un minimo di 4 anni a un massimo di 10 anni a 6 mesi, ridotti rispettivamente a 6 mesi e 3 anni nel caso in cui si sia agito col solo intento di fare un uso momentaneo della cosa per poi restituirla.
Nell’udienza tenuta nei giorni scorsi presso il palazzo di giustizia di Asti i giudici hanno accolto la richiesta del pubblico ministero Donatella Masia, pronunciandosi per la colpevolezza dell’imputato, cui sono state concesse le attenuanti generiche e quelle concernenti l’avvenuta restituzione del maltolto, optando per una condanna appena inferiore alla soglia (i due anni) oltre alla quale la nuova normativa contro i reati della pubblica amministrazione – la cosiddetta legge "spazza corrotti" voluta dall’ex ministro Bonafede – esclude la concessione di misure alternative alla detenzione.
"Valuteremo le motivazioni della sentenza, da qui a sessanta giorni, ma certamente proporremo appello – è il commento dell’avvocato cheraschese Massimo Rosso, che insieme al collega Pier Mario Morra difende Atanasio Arena –. A nostro parere e come chiarito anche nella nostra arringa ci sono sicuramente state delle incomprensioni e anche una gestione della vicenda non irreprensibile dal punto di vista regolamentare, ma tali circostanze non sono sufficienti a integrare il grave reato per il quale il nostro assistito è stato giudicato. Quegli oggetti – prosegue il legale – erano stati visti da tutti i carabinieri di Monforte, del Comando di Bra e di quello di Cuneo intervenuti in quell’abitazione e nelle 36 ore successive sono rimaste in custodia nell’ufficio di Arena, ben visibili a chiunque vi fosse passato o l’avesse utilizzato, come è stato possibile verificare tramite testimonianze in aula. Peraltro Arena era rientrato in caserma con quella fotocamera in mano, ben in vista sotto gli occhi del sistema di video-sorveglianza della stessa, della cui presenza lui era ovviamente a conoscenza. Se davvero avesse voluto trafugarli si sarebbe comportato in questo modo? E’ vero che la loro restituzione è avvenuta in modo forse rocambolesco e confuso, in un bar del paese come da richiesta dei familiari, ma questo non vale a dire che li avesse presi per farli propri, come di fatto non è accaduto".