“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per un pezzo di pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno…”.
Queste parole di Primo Levi sono rimaste scolpite nella memoria collettiva. Niente è più inimmaginabile degli orrori prodotti dalla volontà sistematica dell’essere umano di annientare l’essere umano.
Per ricordare ciò che è stato, il 27 gennaio (data in cui l’Armata Rossa, nel 1945, liberò il campo di concentramento di Auschwitz, uno dei più orrendi scenari della persecuzione razziale nazista) è stato istituito il Giorno della Memoria, una triste ricorrenza che ha il fine di tenere viva l’esperienza delle vittime della Shoah e del Nazifascismo.
Non solo ebrei, ma anche deportati militari e politici, omosessuali, malati, zingari e tanti morti rimasti senza nome e senza volto.
Il tempo passa e si porta via poco a poco i protagonisti diretti della Shoa e gli eroi che, opponendosi al progetto di sterminio, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Le loro parole, però, restano nei libri, perché i ricordi dell’orrore non vadano perduti.
Anche il Caffè Letterario di Bra non dimentica il “Giorno della memoria” e lo fa grazie alla disegnatrice Manuela Fissore, autrice di un’opera senza sconti di generazioni, che va al di là degli schieramenti, perché la guerra e le sue tragiche conseguenze sono uguali in ogni tempo e in ogni luogo.
Quello che però rende immortale la memoria dell’Olocausto è la letteratura e nulla è più opportuno di congedarci con la poesia di Bernardo Negro per raccontarla in tutta la sua cruda verità.
Auschwitz
Le ombre passavano sulle nubi
e un’orma di schianto era la tenebra
sulla neve. Mute falde di cenere
chiazzavano un orrore ignoto,
mai visto nella follia dei tempi.
Ad Auschwitz un ordinario silenzio
intervallava le struggenti note
di un’orchestrina quando il camino
portava la morte fino al cielo,
nel soffio della vita che si estingue.
Cedeva tutto un mondo in un gorgo
soffocato da un’ebbra foschia.
I mostri avevano un sigillo sul capo,
la svastica nell’urlo disumano
di chi calpesta anche gli orizzonti.
Ed è l’orizzonte il seme del ricordo.
È il treno aperto dalla Buccirosso,
alla stazione di Bra infangata
dalla chiusa ferocia dei convogli;
sono i Fratelli Carando sull’orlo
del supplizio che geme di Libertà:
Fenoglio vide uno spazio lontano
nella riscossa che si fece ricordo.
Ora ci proteggono mascherine,
ma i tanks calpestano un’altra neve
davanti a Kiev e alla Civiltà.
Ad Auschwitz “Arbeit macht Frei”,
motto di un’isola ferrea, visse
un lamento già sottomesso.
Si doveva morire sotto i piedi
o il tacco di Hitler che entrava a Parigi.
Ora c’è un dentro ed un fuori da quei giorni
se il ricordo non separa il pianto
delle vittime dal nostro flebile
pensiero. Stiamo coi nostri colori
di fronte a quel camino che più nulla
manda ad un cielo che vuole l’azzurro.
Così nell’ombra del ricordo entra
un sogno di luci dal sacrificio
che dai loro desta i nostri occhi.
La poesia e il disegno sono state pubblicate anche sulle rispettive pagine Facebook degli artisti Bernardo Negro e Manuela Fissore e fanno parte di una raccolta molto ampia. Il minimo che potete fare è esplorarle.