/ Attualità

Attualità | 18 dicembre 2021, 11:06

Con Carlo Ratti e Antonio Calabrò, al Pala Alba si immaginano "le città del futuro"

La la chiave sta tutta nel "costruire il domani partendo da quello che c'è, trovando un equilibrio tra futuristi e gondolieri": nell'eterna disputa tra Guelfi e Ghibellini, serve trasformare le città senza rinnegare il passato

Antonio Calabrò e Carlo Ratti sul palco del Pala Alba Capitale

Antonio Calabrò e Carlo Ratti sul palco del Pala Alba Capitale

“Le città del futuro”: tra sviluppo urbano e nuove tecnologie, globalizzazione e bellezza, si è chiusa in grande stile – con l’appuntamento di ieri sera, venerdì 17 dicembre – la rassegna di 150 eventi e incontri promossa da Confindustria Cuneo e proposta nell’ambito di Alba Capitale della Cultura d’Impresa 2021, da maggio a oggi. A dialogare presso il Pala Alba allestito in piazza San Paolo, Antonio Calabrò (direttore della Fondazione Pirelli, vicepresidente di Assolombarda, presidente di Museimpresa, membro del consiglio generale di Confindustria, giornalista, scrittore e docente all’Università Cattolica di Milano) e Carlo Ratti, direttore del MIT Senseable City Lab presso il MIT di Boston, inserito da Forbes nella lista delle 50 persone che cambieranno il mondo.

“Quello della megalopoli sembrava essere un paradigma superato, con la pandemia da Covid-19”, ha esordito Calabrò, dando avvio al confronto con Ratti. “Il Covid non è stata la fine delle città, che hanno 10.000 anni di storia: non sono sempre esistite, ma pian piano hanno conquistato il mondo e trasformato il modo di organizzare la società – ha sottolineato l’architetto e urbanista in forza al MIT –. Ci sono state pandemie molto più devastanti di questa, come la peste del ‘300. Le città si sono sempre rivelate più forti di qualunque pandemia, grazie a una forza magnetica che esercitano sulle persone: lo dicevo in tempi non sospetti, andando controcorrente, e i fatti sembrano darmi ragione. Le città ci consentono di stare insieme e insieme siamo più forti rispetto alle nostre individualità”.

Un’altra profezia di Ratti, fatta schierandosi fuori dal coro, riguarda l’interazione fisica: “Twitter un anno e mezzo fa diceva che non si sarebbe più lavorato in presenza, ma i ‘legami deboli’ sono fondamentali per la creatività e lo sviluppo di nuove idee, mettendo in discussione i nostri pregiudizi, e questo avviene solamente condividendo uno spazio fisico, che gioca un ruolo fondamentale nelle nostre vite: è un altro punto che non è cambiato in questi mesi di crisi”.

Così Calabrò: “Lo schema non è aut-aut, ma et-et. Non si tratta di scegliere tra smart working o affollamento degli uffici, con una scelta definitiva, ma di mediare tra questi due estremi, perché le diversità sono una straordinaria ricchezza, che ci apre la porta a un’altra dimensione: quella dell’identità”.

Ancora Ratti, parlando di digitale: “Il mondo digitale ha trasformato le nostre vite radicalmente negli ultimi 20 anni, ma crea sistemi distorti, in cui – grazie agli algoritmi dei social – è facile avere percezioni lontane dalla realtà. Online possiamo scegliere i nostri spazi e ci ritroviamo in zone di comfort con chi bene o male la pensa come noi… con l’incontro fisico si hanno maggiori possibilità di confronto”.

La provocazione di Calabrò riguarda poi i nuovi lavori, o meglio, il “sub-lavoro di chi si occupa di consegne a domicilio: per soddisfare dei capricci abbiamo creato una sorta di sub-umanità senza contratti, né diritti, senza dignità del lavoro. Possibile che esista questa grande zona d’ombra?”. Dissente Ratti: “Ogni volta che ci sono delle trasformazioni nella società esistono zone d’ombra, ma non dobbiamo gettare via il bambino con l’acqua sporca. Le nuove tecnologie non vanno demonizzate, anche se è vero che servono riflessioni approfondite sul welfare. Occorre essere architetti del domani per non diventare provincia dell’impero, venendo travolti dal mondo che, comunque, va avanti”. Ordinare una pizza a mezzanotte, in sostanza, è una legittima voluttà.

Incalza il direttore della Fondazione Pirelli: “Le nuove tecnologie o le governi o ti travolgono. Ma come cavalcare il cambiamento? E perché è importante saper ‘aggiustare’ le cose?”.

Per Ratti, citando il collega architetto Renzo Piano, “la città è il posto del ‘rammendo’. Poco più di cent’anni fa New York era la città con più baraccopoli degli Stati Uniti: l’evoluzione, con quanto da aggiustare e rammendare c’è, fa sì che in ogni cambiamento si possa cogliere un’opportunità. La città è un laboratorio dove poter risolvere alcuni conflitti. Mi piace pensare all’innovazione tecnologica come a qualcosa che succede in natura, mettendole in parallelo come viene fatto nell’interessante saggio di George Dyson, ‘Darwin among the machines’: esistono analogie tra ciò che avviene nel mondo della tecnologia e in quello della natura. In entrambi avvengono delle mutazioni: alcune hanno successo, altre no”.

Nel dibattito ha quindi fatto il suo ingresso la filosofia, con Calabrò che ha introdotto il tema della bellezza: “Nel Costituto Senese, lo statuto della città di Siena datato 1309, era scritto: ‘Chi governa la città deve tenere massimamente a cuore la bellezza, per diletto e allegrezza ai forestieri e per onore, prosperità e accrescimento ai cittadini’. Cosa distingue le nostre città rispetto ad altre realtà europee?”.

Il pensiero di Ratti: “Il Covid, quando ci siamo ritrovati a dovere e poter lavorare in luoghi diversi dal solito, ci ha portati a scegliere città con alta qualità della vita, ricche di bellezza. La qualità della vita è il punto di partenza per capire dove prendere casa e dove sistemarsi”.

Calabrò ha dunque tirato in ballo il Polo industriale progettato da Renzo Piano a Settimo Torinese, una “fabbrica bella”. “C’è quest’idea che per difendere la qualità del Made in Italy non si può produrre in un orrendo sottoscala, ma in un luogo che offra una dimensione di bellezza e allegrezza”.

“Il mondo va in questa direzione e il nostro Paese ha molto da dare, da questo punto di vista – è la replica di Ratti –. Oggi sono abbastanza ottimista sull’Italia, meno sugli Stati Uniti, con situazioni ribaltate rispetto a cinque anni fa. Nell’Italia di Fantozzi tutti facevano le stesse cose negli stessi orari, dal bus per andare in ufficio alle vacanze di Ferragosto: oggi la maggior flessibilità che abbiamo ci permette di desincronizzarci, ed è un’opportunità che il Covid ci ha regalato”.

Ed eccoci alla cultura politecnica, in cui tecnologia, filosofia e letteratura si incontrano. Nel ridisegno delle città, come si tengono insieme?

“Allo stesso modo in cui avviene in altri ambiti della vita spiega Ratti –. Cent’anni fa, gli articoli più importanti sulla rivista scientifica Nature erano di un unico autore, focalizzati su un singolo argomento. Oggi gli articoli più apprezzati portano molte firme e incrociano argomenti vari, che richiedono competenze complesse che vengono interconnesse. Lo stesso accade nelle città: servono tante competenze e discipline diverse che si trovano insieme”.

Calabrò: “Le città, da semplice ‘luogo’, cominciano a essere lette in termini di flussi”.

“Le reti e i big data hanno cambiato la nostra vita e ci permettono di leggere i flussi – replica Ratti, introducendo il tema della governance –. Le distanze si sono accorciate. L’alta velocità ha ridisegnato la geografia. Città e Comuni, tuttavia, hanno competenze amministrative ‘vecchie’: serve grande qualità dei pubblici amministratori, che devono essere capaci di sfidare i limiti e i confini del diritto amministrativo. Il futuro di Torino è Milano, nel senso che le due città ormai sono praticamente una… Proporrei anche di fondere i due Politecnici, che se si mettessero insieme potrebbero competere per le prime 10 posizioni al mondo. Oggi si può leggere la metropoli attraverso i flussi, e Torino e Milano sono quindi un bi-polo: un sistema con milioni di abitanti che vivono a 40 minuti di distanza”.

Ed ecco il tema della cosiddetta “Città dei 15 minuti”. Un modello, inserito nel 2020 nel programma elettorale della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, di città sostenibile proposto dall’urbanista franco-colombiano della Sorbona Carlos Moreno. La “ville du quart d’huere” prevede di riorganizzare gli spazi urbani in modo che il cittadino possa trovare entro 15 minuti a piedi da casa tutto quello di cui ha bisogno: lavoro (anche in co-working), negozi, strutture sanitarie, scuole, impianti sportivi, spazi culturali, bar e ristoranti, luoghi di aggregazione e via dicendo.

“La tensione verso quartieri parzialmente autosufficienti è positiva – sostiene Ratti –. Quartieri in cui la maggior parte dei servizi rientra nella distanza di 15 minuti, ma nello spazio oltre i 15 minuti si possono trovare realtà ‘uniche’. I 15 minuti sono una tensione ideale, ma fino a un 20% di spostamenti possono essere oltre questo limite, permettendoci di avvantaggiarci di economie di scala che possono esserci solo guardando a un livello superiore: per esempio, per andare al Teatro alla Scala, a un cinema d’essai, al nostro ristorante preferito”.

Calabrò porta il dibattito sulla dimensione dei borghi, “molti dei quali sarebbero da recuperare, magari togliendoci anche da un’idea nostalgica dei bei tempi andati”.

“I borghi sono bellissimi, ma ero una voce fuori dal coro che diceva che le città sarebbero tornate: negli anni ’80-’90 del secolo passato, con l’affacciarsi di internet, si pensava non ci sarebbero più state le città. Non fu così e il motivo è che se uno cerca le interazioni, sulla cima dell’Everest come nelle parti più remoti dell’Appennino si avrebbero poche possibilità di interazione. Possiamo lavorare dove vogliamo, ma se vogliamo vedere altre persone e godere di un’offerta culturale o di interazioni, ci serve la città”.

Per una città come Alba, che futuro c’è?

“C’è un aspetto molto bello della globalizzazione, che ha prodotto grandi disagi con le delocalizzazioni che hanno impoverito il Paese, ma c’è anche un altro lato, molto più bello: qualche giorno fa, andando a mangiare a Barolo sembrava di essere a New York. Alba, con il suo territorio, è una città internazionale. L’aspetto positivo è che trent’anni fa il contadino che faceva un buon vino avrebbe avuto difficoltà a vendere il proprio vino e a vivere bene. La globalizzazione è un’opportunità, in cui i prodotti di eccellenza trovano una propria nicchia in tutto il mondo. Alba può usare il mondo come suo mercato”.

Spazio quindi alle sollecitazioni dal pubblico, che chiede a Ratti come sarà Milano tra 50 anni.

“Citando Karl Popper: il futuro è impossibile da prevedere… Lo possiamo solo costruire insieme. Il futuro positivo può essere quello di città che riescono a trovare la propria vocazione usando il mondo intero come spazio in cui esprimersi. Sbilanciandomi, l’agorà del futuro, il centro della civitas, metterà insieme fisico e digitale”.

Passando a una dimensione locale, entra nel dibattito il Piano Regolatore del Comune di Alba, che ipotizza una città policentrica. “Può funzionare per New York o per Berlino – afferma dal pubblico l’avvocato Renzo Paglieri – ma la creazione di cellule autosufficienti per una città di 30.000 abitanti sembra fuori luogo…”.

Gli dà ragione Ratti: “Il policentrismo nasce su una scala diversa, a partire da città sopra il milione di abitanti. Non conosco il PRG di Alba, ma non vorrei che la città sia vittima di un errore di progettazione che ha fatto sì che le città continuino a venire progettate pensando all’espansione, quando il nostro è un Paese in cui la popolazione non cresce. Inutile sfruttare inutilmente nuovo suolo… Stiamo seguendo il Giappone, dieci anni in differita, con un lento declino demografico. Non dobbiamo continuare a pensare come negli anni ’60, in pieno boom espansivo”.

Arriva la replica dell’assessore albese all’Urbanistica, Fernanda Abellonio, presente in sala: “Il PRG di Alba è partito nel 2001, arrivato ad approvazione nel 2016, ed è inevitabilmente datato. Abbiamo moltissime richieste di cambio di destinazione d’uso: nel 2020, su circa 1.000 pratiche edilizie arrivate sulle scrivanie degli uffici comunali, erano solo 50 i nuovi interventi. Ci sono poi grandi difficoltà dovute agli strumenti normativi a disposizione dei Comuni: la legge “Astengo” è del ’77 ed è ormai superata… È difficile intervenire oggi, perché gli strumenti sono inadeguati”.

Tutti d’accordo, con Ratti che lancia una proposta: “Alba, magari con i paesi intorno, potrebbe diventare terreno di sperimentazione per un consumo zero di suolo, con una maggiore attenzione nella costruzione di nuovi capannoni”.

In chiusura, ragionando ancora di bellezza, Ratti offre la chiave per le città del futuro: occorre "costruire il domani partendo da quello che c'è, trovando un equilibrio tra futuristi e gondolieri". Nell'eterna disputa tra Guelfi e Ghibellini, insomma, serve trasformare le città senza rinnegare il passato.

Pietro Ramunno

Google News Ricevi le nostre ultime notizie da Google News SEGUICI

Ti potrebbero interessare anche:

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium