“È allucinante quello che e successo a Chiavari 25 anni fa. Io chiedo agli abitanti di Chiavari e a chi sa che si faccia avanti. Perché adesso si può fidare”.
Ha la voce rotta dall’emozione e lo sguardo di chi per troppo tempo ha cercato una soluzione che ogni volta che sembrava a portata di mano, schizzava ancora più lontana, lasciando ogni volta una ferita più profonda nel cuore.
Ma ciò nonostante Daniela, la sorella di Nada Cella - la giovane uccisa nello studio del commercialista dove lavorava come segretaria - ha ancora la forza per raccontare e soprattutto la tenacia di sperare ancora di poter guardare negli occhi, dopo un quarto di secolo, chi ha ammazzato sua sorella.
“Io non lo capisco. Io non riesco proprio a capire come mai durante le indagini carabinieri e polizia non abbiano mi comunicato tra di loro - prosegue Daniela - lasciando svanire piste e indizi che avrebbero potuto identificare l’assassino di mia sorella. Bastava far circolare le informazioni tra gli investigatori”.
Telefonate anonime non approfondite, indizi sottovalutati, piste tralasciate e soprattutto la strana storia di quel bottone ritrovato sotto il corpo di Nada.
“Se oggi è stato riaperto il caso su elementi dell’epoca, come mai allora non furono approfonditi certi indizi?”. Prosegue composta e addolorata Daniela Cella.
“La mia famiglia non conosceva Annalucia Cecere e allora il suo nome non ci disse nulla. Ma ciò che non capisco è la rabbia che l’assassino di mia sorella ha riversato su di lei”.
“E chi ha ucciso mio padre ha sulla coscienza anche la morte di mio papà, morto mentre andava a trovare, come faceva ogni giorno, mia sorella al cimitero. Lui sarebbe ancora qui con noi se Nada non fosse stata ammazzata”, ha concluso Daniela.