È da più di un anno che il termine smart working è diventato di uso comune.
In realtà, lo smart working non è una novità dello scorso anno. Da tempo si parla di cambiare visione del lavoro, non più inteso come “presenza in ufficio”, ma come task da completare e obiettivi da raggiungere, a prescindere da dove e per quanto tempo si lavora.
Lo smart working non è dunque una novità assoluta: già da tempo molte categorie professionali lavorano "in modo agile", categorie molto differenti tra loro, come ad esempio i programmatori web, i digital marketer, i nomadi digitali e i giocatori di poker, che ben conoscono come lavorare in modo smart e sanno offrire consigli utili a chi si ritrova, per necessità, a fare smart working.
Se è vero che negli ultimi 12-18 mesi il lavoro agile, in Italia, è cresciuto enormemente, anche per via delle contingenze che ben conosciamo, è altrettanto vero che nei fatti spesso lo smart working si è tradotti in home working o telelavoro, una versione ridotta, non certo innovativa, del lavoro agile.
Lo smart working, infatti, prevede un cambio di filosofia nell’approccio al lavoro e nell’organizzazione aziendale: non importa quanto tempo un lavoratore sta seduto alla scrivania, a contare sono i risultati, ottenuti nei tempi e nei modi stabiliti dall’azienda.
Il lavoro agile prevede una responsabilizzazione sia del lavoratore, che si impegna a completare i propri compiti e a raggiungere gli obiettivi prefissi, sia dell’azienda, che accetta di “perdere” un po’ di controllo sul lavoratore, non più costretto ad andare in ufficio per le canoniche otto ore, in cambio di un rendimento spesso migliore e di un rapporto più sano con i propri dipendenti.
Alla base del lavoro agile c’è un diverso rapporto con lo spazio fisico destinato al lavoro: la presenza in sede non è più quotidiana, ma diventa flessibile e si lega a momenti della vita aziendale precisi, come riunioni, aggiornamenti, formazione o eventi.
Anche la comunicazione interna si modifica e si amplia, tra app di messaggistica, software gestionali e mail.
A cambiare, è anche il work-life balance per il lavoratore, che può trovare un migliore equilibrio tra tempo dedicato al lavoro e tempo dedicato a sé stesso e alla famiglia. Inoltre, non doversi spostare tutti i giorni per andare sul posto di lavoro rappresenta un risparmio energetico ed economico; l’azienda, d’altro canto, grazie al lavoro agile può dare un taglio all’acquisto di tutto ciò che serve per allestire un ufficio.
Ovviamente, non è tutto oro quel che luccica: lo smart working non ha solo pregi, ma nasconde alcune insidie. Il lavoratore, da casa, non ha contatti diretti con colleghi e superiori, e questo potrebbe nuocere alla socialità, aspetto importante anche sul posto di lavoro, e alla produttività. Non tutti, inoltre, sono in grado di separare il tempo di lavoro da quello personale.
Si tratta di una rivoluzione della cultura del lavoro da assimilare passo dopo passo, anche perché l’esplosione è frutto di un evento imprevedibile e non di un implementazione progressiva e ragionata.
Un libro uscito di recente, a firma di Nunzia Carbonara e Roberta Pellegrino, ha provato ad analizzare lo stato dello smart working nel nostro paese e a studiarne le prospettive future. Se da un lato i lavoratori hanno potuto ridurre le spese per il trasporto, con una riduzione del traffico e delle emissioni inquinanti, dall’altro si è osservato che il lavoro agile interessa in particolar modo le classi lavoratrici con istruzione elevata.
Le autrici sottolineano l’apprezzamento dei lavoratori per questa modalità di lavoro, ma evidenziano come sia necessario trasformare il lavoro agile da eccezione a “regola”.
Le strutture aziendali stanno cambiando: non più organizzazioni rigide, ma flessibili, non più controllo ma delega, non ore di lavoro ma risultati.
Anche la PA sta sposando la filosofia dello smart working, sebbene uscire da certe logiche sia più complesso rispetto ad aziende più agili.
In ogni caso, che le prospettive arridano allo smart working si è capito dalla proroga, firmata lo scorso 31 maggio, dello smart working semplificato nel settore privato fino al prossimo 31 dicembre, che dà la possibilità ai datori di lavoro di applicare lo smart working a ogni rapporto di lavoro subordinato anche senza accordi individuali con il lavoratore. E a tal proposito, di recente la Regione Piemonte, attraverso un fondo dedicato, ha stanziato un milione di euro per lo smart working destinato alle PMI.
Dunque, lo smart working è già realtà, ma nel futuro dovrà essere maggiormente strutturato: per farlo, occorre cambiare visione e filosofia lavorativa, non solo a parole ma attraverso fatti concreti.