“Quanto a lungo possiamo ancora resistere? Molto poco. Se si tira ancora per tutto quest'anno mi viene il magone. Molte attività come la nostra chiuderanno per non riaprire più”. A parlare con sconforto è Bruna Pellegrino, rappresentante provinciale del settore pulitintolavanderie di Confartigianato e titolare della lavanderia “Da Bruna” in via Sebastiano Grandis a Cuneo.
Uno dei comparti maggiormente esposti alla recessione scatenata dalla pandemia da Covid-19 è rappresentato proprio dalle imprese di lavanderia e pulitura di articoli tessili e di pelliccia.
A livello piemontese il comparto è costituito da 1338 imprese, di cui 983 artigiane. Confartigianato stima che nel 2020 il fatturato ha registrato un calo del 37,1%, pari a una perdita di 33 milioni di euro. Per questo motivo, più di un terzo (33,9%) delle micro e piccole imprese potrebbe subire seri problemi di liquidità fino a giugno 2021. Di fatto per le pulitintolavanderie le nuove restrizioni stanno incidendo negativamente sui ricavi determinando una flessione fino all’80%.
Essendo considerato un servizio essenziale, le lavanderie non hanno mai chiuso, neanche in zona rossa. Come sono possibili questi numeri?
“Siamo un settore fondamentale ma dimenticato. Noi svolgiamo servizi prevalentemente legati ad eventi di vita sociale, alla ristorazione e al cambio di stagione. La pandemia ha stravolto le abitudini degli italiani e le restrizioni sulla mobilità delle persone hanno ridotto l’utilizzo del vestiario di più elevata qualità, su cui viene richiesto un maggiore utilizzo dei servizi di pulitintolavanderia. Se la gente è chiusa in casa, si cambia meno. Inoltre rimanendo aperti non abbiamo avuto diritto a ristori. Oltre al danno anche la beffa”.
Avete sostenuto delle spese per adeguarvi alle normative anti-Covid?
“Noi lavoriamo nel pulito e in sicurezza, facciamo questo di mestiere. In lavanderia era già tutto igienizzato e sanificato. Ancor prima della pandemia non lavavamo i capi di più clienti insieme e avevo già il dispenser di igienizzante sul bancone. Io ho aggiunto l'ozono in macchina, per una maggiore garanzia. Per noi è cambiato poco”.
La sua è una lavanderia tradizionale aperta al pubblico. Come è cambiata l'attività nell'ultimo anno?
“Io tratto soprattutto l'abbigliamento da uscita e da lavoro. Eravamo molto legati agli uffici e alle scuole. Avevo molti clienti avvocati. Con i dipendenti in smart working e i docenti in didattica a distanza, abbiamo perso tutto quel lavoro settimanale. Non ho più i completi e le camicie da uomo da lavare e da stirare. Senza contare poi il vestiario per far festa: sono sparite le cene e le cerimonie che portavano molto lavoro su capi di alta qualità”.
Con la pandemia abbiamo visto gli italiani improvvisarsi fornai, con il lievito di birra che ad un certo punto era sparito dagli scaffali dei supermercati. Si sono improvvisati anche lavandai?
“Proprio così. Chiusi in casa a marzo dello scorso anno, tanti cuneesi si sono inventati lavandai, volevano risparmiare e non hanno portato il cambio di stagione in lavanderia”.
Anche il calo del turismo ha influito?
“Eccome se ha influito. Avere le piste da sci chiuse ci ha tolto tutto il lavoro sull'abbigliamento tecnico e sportivo. Quando c'è Limone che gira, settimanalmente hai tante tute da sci da lavare. Alle restrizioni della pandemia poi si è aggiunta la problematica del Tenda (chiuso per i danni alluvionali di ottobre 2020) che ha eliminato il lavoro sulle seconde case con i liguri che ci portavano piumoni e vestiario da lavare. Considerate tutte queste perdite, io stimo almeno un 50% di calo di fatturato”.
Poi ci sono le lavanderie che lavoravano per alberghi e ristoranti. La situazione per loro è anche peggio.
“Conosco bene il settore. Dieci anni fa i miei due figli Ivan e Luca hanno aperto a Roreto di Cherasco la 'Top Clean', una lavanderia industriale indirizzata nel settore alberghiero. Chi, come loro aveva concentrato tutto sul turismo e la ristorazione, ha avuto il fatturato pressoché azzerato. Ma rientrando tra i codici Ateco essenziali, niente ristori. Proprio l'altro giorno ho chiesto ai miei figli se secondo loro era peggio l'anno scorso o quest'anno. Entrambi mi hanno risposto in coro 'È peggio adesso perché non si vede la fine'. La cassa integrazione per i dipendenti tarda ad arrivare. Le bollette non sono state fermate. Gli affitti sono da pagare. Inoltre le macchine delle lavanderie industriali non possono stare ferme troppo a lungo perché poi non partono più, e dobbiamo farle girare a vuoto. Spendiamo senza avere incassi. Insomma si cerca di sopravvivere”.
Molte lavanderie chiuderanno?
“Una trentina di anni fa in Cuneo città c'erano circa 60 lavanderie. Ora siamo una quindicina. Quest'anno ho aiutato una ragazza che ha avuto il coraggio di aprire in vallata, ma tanti stanno chiudendo. Non abbiamo ricavi così alti, in confronto al costo dei macchinari che è oneroso e difficile da ammortizzare. Servono circa 150mila euro per aprire una lavanderia, quando ci rientri? Senza contare che serve una qualifica tecnica e un corso per poter aprire una lavanderia, ma in tutta Italia non hanno mai attivato una scuola, come invece esiste per parrucchiere ed estetiste”.
Cosa chiedete al Governo?
“Chiediamo solo di lavorare. Noi siamo l'ultimo anello di una catena: delle cerimonie, della ristorazione, del turismo e delle piste da sci. Nessuno si ricorda di noi, ma noi ci siamo. Se non lavorano tutti questi, non lavoriamo noi.
Io sono fiduciosa. L'importante adesso è avere i soldi per mangiare e non ammalarsi, il resto è superfluo. Tutto ripartirà, ne siamo convinti. Non abbiamo paura di non avere più lavoro. L'unica cosa è che si deve fare in fretta perchè non so per quanto tempo possiamo ancora resistere”.