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Politica | 14 agosto 2020, 07:45

Referendum, col Sì la strada per Roma dei parlamentari cuneesi (uscenti o nuovi) sarà tutta in salita

La legge sul “taglio” di 230 deputati e 115 senatori, se otterrà l’assenso dei cittadini-elettori, cambierà il rapporto numerico di rappresentanza sia alla Camera (1 deputato per 151.210 abitanti), sia al Senato (1 senatore per 302.420 abitanti). Le incertezze sulla nuova legge elettorale allungano comunque le prospettive della legislatura

Referendum, col Sì la strada per Roma dei parlamentari cuneesi (uscenti o nuovi) sarà tutta in salita

Domenica  20 e lunedì 21 settembre, insieme al rinnovo di 19 amministrazioni comunali della provincia Granda, si voterà anche per il referendum che riguarda il “taglio” dei parlamentari.

Una consultazione che, quando manca poco più di un mese, suscita scarso interesse nonostante avrà significative ricadute in termini di rappresentatività territoriale.

Ripercorriamo a volo d’uccello le tappe che hanno portato al referendum.

Dopo un lungo iter legislativo promosso dal Movimento 5 Stelle, che ha richiesto svariate votazioni, l’8 ottobre 2019 la Camera dei Deputati ha espresso l’ultimo voto necessario per dare attuazione alla riforma costituzionale.

Il provvedimento è già legge, ma a seguito della richiesta di 71 senatori, tra cui – ricordiamo - il forzista albese Marco Perosino, è stata data la parola ai cittadini-elettori.

Con la legge viene di fatto ridisegnata la composizione del Parlamento: sono 345 le “poltrone” in meno previste, precisamente 115 senatori e 230 deputati, con un risparmio stimato di 100 milioni di euro lordi all’anno, tema su cui hanno fatto leva i pentastellati.

L’ultima votazione sul taglio ha ottenuto una maggioranza "bulgara" alla Camera.

I Sì alla riforma costituzionale, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, sono stati 553, i no appena 14 e 2 gli astenuti.

Hanno votato a favore i partiti di maggioranza (M5S, Pd, Italia Viva, Leu) ma anche quelli di opposizione (Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia).

Uniche forze del Parlamento contrarie al taglio sono state +Europa (3 deputati) e Noi con l'Italia (4 deputati guidati da Maurizio Lupi).

A corredo di queste informazioni di cronaca parlamentare, aggiungiamo che la "riforma Fraccaro" (dal nome dal sottosegretario pentastellato alla presidenza del Consiglio), cambia il rapporto numerico di rappresentanza sia alla Camera (1 deputato per 151.210 abitanti, mentre oggi era 1 per 96.006 abitanti) sia al Senato (1 senatore per 302.420 abitanti, mentre oggi era 1 ogni 188.424 abitanti).

Questo comporterà la necessità di ridisegnare i collegi elettorali con una nuova legge elettorale, che da mesi è oggetto di disputa tra le forze politiche. C’è chi vorrebbe il maggioritario secco, chi un sistema misto, chi il ritorno al proporzionale o “secco” o con sbarramento al 5 o al 3%.

Le posizioni sono le più fantasiose e al momento non si vedono intese all’orizzonte.

Nessuna forza politica pensa ad un ritorno alla preferenza, per cui si continuerà, qualsiasi sarà il sistema elettorale, con candidature scelte sulla  base dell’indice di gradimento dei leader di ciascuna partito, i quali - in base al grado di fedeltà dei loro emissari sui territori (ma non necessariamente) - decideranno se collocarli in posizione alta o bassa di lista.

Da questo, specie per i partiti maggiori (e per quelli che oggi vanno per la maggiore), dipenderà la loro elezione o meno.

Come si evince il criterio di rappresentatività del territorio, peculiare per una provincia come la Granda, diventa del tutto irrilevante.

ll problema non è di oggi, ma verrà certamente accentuato.

Nessuno degli attuali parlamentari cuneesi, né di maggioranza né di opposizione, risulta essersi preoccupato di questo aspetto.

Tutti hanno votato a favore della legge Fraccaro anche se questa, per la gran parte di loro, rappresenta la quasi certezza di non ritorno.

Resta comunque loro la consolazione che non si andrà alle urne tanto presto.

L’ipotesi più prossima è dopo l’elezione del Capo dello Stato, ma quella più realistica è a scadenza naturale, cioè nella primavera 2023.

A favorire la longevità di una legislatura che sembrava destinata a finire pochi mesi dopo il voto del marzo 2018, peserà sicuramente, insieme ad altri fattori, lo spirito di autoconservazione che – si sa – è da sempre trasversale agli schieramenti.

Giampaolo Testa

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