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Bra | 02 aprile 2020, 09:46

In attesa della nuova stagione, il Caffè Letterario di Bra invita a riprendere in mano ‘I Promessi Sposi’

Corsi e ricorsi storici nel capitolo XXXI tra l’Italia afflitta dal Coronavirus e la peste che mise in ginocchio Milano nell’anno di grazia (di disgrazia) 1630

In attesa della nuova stagione, il Caffè Letterario di Bra invita a riprendere in mano ‘I Promessi Sposi’

Oggi come oggi il Manzoni sembra vivere un revival straordinario date le tante (troppe) similitudini tra l’epoca attuale, con l’Italia afflitta dal Coronavirus e la peste che mise in ginocchio Milano nell’anno di grazia (di disgrazia) 1630.

E così, in attesa dei prossimi incontri al Mondadori Bookstore di Bra, il Caffè Letterario invita a riprendere in mano ‘I Promessi Sposi’: XXXVIII capitoli per capire corsi e ricorsi storici, a partire dal XXXI. Anche allora, come per il Covid-19, l’arrivo della peste non fu creduto: “Sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo”, scrive Alessandro Manzoni.

Le stesse autorità competenti non avevano, all’inizio, creduto. Leggete queste righe e dite se non paiono quelle sentite nelle vecchie cronache dei telegiornali: nel Tribunale della sanità “La premura era ben lontana da uguagliare l’urgenza. Abbiamo già veduto come, al primo annunzio della peste, andasse freddo nell’operare, anzi nell’informarsi. Quella grida per le bullette, risoluta il 30 d’ottobre, non fu stesa che il dì 23 del mese seguente, non fu pubblicata che il 29. La peste era già entrata in Milano”.

Che dire del “popolo bue”? Stessa inosservanza delle norme emanate per limitare il contagio. E quelli che dicono “È solo una brutta influenza?”. C’erano anche loro: “Deridevan gli augùri sinistri e avevan pronti nomi di malattie comuni per qualificare ogni caso di peste”. E le fake news? C’erano pure allora (pensiamo al sospetto verso gli untori), così come le teorie complottiste: “Erano tanto più disposti a trovarci qualche altra causa: gente congiurata a sparger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malìe”.

Anche nella vecchia Milano si va a caccia del paziente numero uno. Il “portator di sventura” pare un soldato italiano al servizio dell’esercito spagnolo: il sequestro della casa, l’isolamento dei parenti ed il rogo dei vestiti, furono azioni inutili, visto che un “semino” del morbo “non tardò a germogliare”. Esattamente quel che oggi cerchiamo di evitare al motto #iorestoacasa.

E non poteva mancare il super commissario. È Felice Casati, un padre cappuccino, guardiano del Lazzaretto “sempre affaticato e sempre sollecito, girava di giorno, girava di notte”. Pure nel Seicento si costruiscono in quattro e quattr’otto strutture di soccorso: “Bisognava trovare e preparar nuovo alloggio per gli ammalati che sopraggiungevano ogni giorno” e “Tener fornito il lazzeretto di medici, di chirurghi, di medicine, di vitto, di tutti gli attrezzi d’infermeria”.

Nella città devastata dalla morte, oltre che dall’ignoranza che aggiunge “angustie alle angustie” e produce “falsi terrori”, arriva Renzo. Così gli appare Milano vista dalle parti del naviglio: “Il tempo era chiuso, l’aria pesante, il cielo velato per tutto da una nuvola o da un nebbione uguale, inerte, che pareva negare il sole, senza prometter la pioggia; la campagna d’intorno, parte incolta, e tutta arida; ogni verzura scolorita, e neppure una gocciola di rugiada sulle foglie passe e cascanti”.

Cammina e cammina, sbucando in un luogo “Che poteva pur dirsi città di viventi”. Ma guardando le strade deserte e le case serrate, non può che pensare: “Ma quale città ancora, e quali viventi!”. Così si legge nel capitolo XXXIV, ma il romanzo di Renzo e Lucia è molto di più: un intreccio di avventure e scenari che portano a galla vizi e virtù, eroismi e viltà di tutti i tempi in un bagno di sentimenti antichi e sempre nuovi.
Da leggere e rileggere dal capitolo I: “Quel ramo del lago di Como...”. Tranquilli, non c’è nessuno qui a interrogarvi.

Silvia Gullino

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