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In Breve

| 24 novembre 2019, 07:44

Da Sommariva del Bosco a Manchester, "a caccia" delle scienze forensi: quattro chiacchiere con Noemi Procopio

"L’Italia è un paese che forma gli studenti molto bene, fino al livello della laurea triennale/magistrale, ma al termine di ciò, anche solo riuscire ad iniziare un Dottorato di ricerca con stipendio è per davvero per pochi eletti"

Noemi Procopio

Noemi Procopio

- Come sei arrivata, in Inghilterra? Perché proprio Manchester e Newcastle?

In Inghilterra sono arrivata, se devo essere sincera, quasi per caso. Avevo 23 anni e stavo finendo il mio ultimo anno di laurea magistrale in Biotecnologie Molecolari a Torino, e vedevo molti dei miei compagni interessati ai Dottorati di Ricerca all’estero.

Ho valutato quali opzioni avessi una volta conseguita la laurea: da una parte, avrei potuto iniziare anche io un Dottorato all’estero, dove sarei stata retribuita con uno stipendio soddisfacente, avrei imparato meglio una lingua, e avrei ottenuto un nuovo titolo di studio, il più alto in ambito universitario. Dall’altra, avrei potuto provare a cercare un qualche lavoro in Italia, magari sottopagato e non inerente al mio percorso di studi, con alte probabilità di finire disoccupata e di gravare economicamente sulla mia famiglia, nonostante avessi ottenuto entrambe le lauree con il massimo dei voti.

Quindi decisi di optare per la prima delle due opzioni, pensando di fare un Dottorato di ricerca per tre anni e di rientrare in Italia arricchita, se non altro, di competenze tecniche e linguistiche. Non avrei mai immaginato di appassionarmi così tanto alla ricerca in ambito forense, e nemmeno che sarei rimasta così a lungo in Inghilterra.

Perché Manchester? Cercando quali dottorati fossero disponibili in abito forense all’estero, utilizzai come parole chiave sul motore di ricerca “United Kingdom” (avevo deciso che la lingua che volevo migliorare era l’inglese) e “forensic science” (la mia passione dai tempi del liceo). Ottenni due risultati – University of Manchester e Londra UCL. Dopo diversi colloqui sostenuti sia tramite Skype e sia di persona, mi offrirono entrambi i posti. Decisi per Manchester perché la città mi sembrava più a portata di persona rispetto a Londra, ed economicamente più vantaggiosa.

Il Dottorato è stata un’esperienza meravigliosa, che consiglio davvero a tutti. Al termine del Dottorato, avendo sviluppato una forte voglia di proseguire la mia carriera in ambito universitario, decisi di fare domanda per una posizione da docente universitario in Scienze Forensi che si era appena aperta presso l’università Nortumbria di Newcastle – mandai la domanda ed il curriculum, mi selezionarono per il colloquio, e mi venne offerta la posizione a tempo indeterminato ancora prima di completare il Dottorato. Ed ora, a distanza di un anno, sto per iniziare il mio primo progetto di ricerca stanziato dal governo e per creare il mio gruppo di ricerca. È davvero la realizzazione di un sogno.

- Com'è vivere e lavorare in Inghilterra?

L’Inghilterra non è un posto facile in cui vivere – all’inizio può spaventare, e può non piacere. Bisogna farci l’abitudine, è una realtà sicuramente molto diversa da quella a cui siamo abituati in Italia, ma come tutto, ha i suoi difetti così come i suoi pregi. Tra gli svantaggi, devo ammettere che la questione metereologica/climatica è forse la più ostica.

Tra le due città, Manchester è sicuramente la più piovosa, e questo non aiuta di certo ad avere un umore allegro e felice quando si vive lì. Inoltre, in questo periodo invernale, le giornate sono cortissime, quindi si esce per andare al lavoro al buio, ed alle quattro del pomeriggio è di nuovo tutto buio, facendo sembrare le giornate lavorative eterne. Anche il cibo non è dei migliori, ma a quello si può ovviare con qualche riserva alimentare italiana che ci si può portare su di tanto in tanto.

Tuttavia, lavorare, per lo meno in Università, è dal mio punto di vista fantastico. Il sistema è basato principalmente sulla meritocrazia, e dunque traguardi anche molto ambiziosi possono essere raggiunti se si è meritevoli. Inoltre, è davvero possibile fare ricerca ad alti livelli, vista la presenza di diversi enti governativi che si occupano di stanziare fondi sostanziosi per sviluppare nuovi progetti di ricerca e per dare la possibilità a nuovi scienziati di seguire le proprie idee e di crearsi un futuro promettente.

Direi che queste sono le due principali differenze rispetto all’Italia, che mi spingono ad ignorare i difetti menzionati prima e ad essere felice ed orgogliosa di poter lavorare qui.

- Rispetto ai recenti sviluppi relativi alla Brexit, che aria tira secondo te nella città in cui vivi?

Riguardo alla Brexit, non so davvero più cosa pensare. Quando è stato fatto il referendum io vivevo ancora a Manchester – mi ricordo ancora adesso che il giorno dopo il fatidico referendum, molta gente inglese sui bus piangeva, e in Università c’era un silenzio surreale.

La Brexit non è stata sicuramente una decisione voluta dagli accademici, che chiaramente hanno sempre ritenuto fondamentale la presenza di colleghi provenienti da tutto il globo per massimizzare il livello della ricerca condotta nelle Università inglesi e per far sì che fosse tra le migliori al mondo.

Non sappiamo ancora cosa accadrà quando (e se) si uscirà definitivamente dall’UE – nonostante ci siano accordi in vigore che permetteranno a persone che sono in Inghilterra da più di cinque anni di rimanerci senza limiti di tempo, come nel mio caso, nessuno sa cosa accadrà realmente. Ora che è passato già molto tempo dal referendum, in città se ne parla meno, nonostante spesso ci siano ancora manifestazioni di protesta anti-Brexit principalmente condotte da giovani e studenti.

Per quanto riguarda gli enti europei che si occupano di stanziare soldi ai ricercatori di tutta Europa, è chiaro come la decisione della Brexit stia fortemente limitando le possibilità di vincere fondi per i ricercatori che lavorano in Inghilterra, e questa è una delle conseguenze più tangibili che la Brexit abbia generato ad oggi, per lo meno a livello universitario.

- Ti occupi di insegnare scienze forensi: ce ne vuoi parlare?

Certamente! Le scienze forensi, ed in particolare la biologia forense, sono la mia passione dai tempi del liceo, per motivi in parte a me oscuri, e in parte molto chiari. Sono sempre stata attirata dall’analisi della scena del crimine, dall’analisi del DNA, e dalla ricerca della giustizia, pur non avendo mai guardato i famosi telefilm CSI, RIS ed affini.

Ho poi avuto la fortuna di avere una professoressa di biologia al liceo, Nadia Sibona, che mi ha ispirata fin da subito con la sua passione e dedizione per la materia, e mi ha sempre supportata in tutto e per tutto. Per me è stata la prima vera fonte di ispirazione, ed è una di quelle persone a cui sono davvero grata.

Già per la tesina di maturità del liceo avevo parlato delle indagini forensi e delle procedure da seguire per estrarre ed analizzare tracce biologiche ritrovate sulla scena del crimine. Avevo anche fatto una dimostrazione pratica, durante l’esame orale di maturità, di come i campioni di DNA vengano fatti “correre” su un gel per verificarne la corretta estrazione e amplificazione.

La mia seconda grande fortuna è stata quella di incontrare la dottoressa Sarah Gino durante il mio percorso universitario, una genetista forense di altissimo calibro che mi ha fatto appassionare definitivamente alla materia. La mia unica certezza era quindi quella di voler quindi seguire le sue orme, nonostante le difficoltà presenti in Italia quando si decide di percorrere questa particolare strada.

In Italia, purtroppo non esiste una laurea in Scienze Forensi come nel resto dell’Europa, e per questo motivo, se si vuole inseguire questo sogno, bisogna trovare il modo di raggiungerlo per vie “traverse”. Durante il mio Dottorato ho combinato le mie competenze biotecnologiche con i miei interessi forensi, e grazie a questo sono riuscita ad ottenere il mio lavoro come docente in scienze forensi. Insegnare è fantastico, mi è sempre piaciuto, e insegnare ciò che più ti appassiona è davvero il meglio.

All’università Northumbria abbiamo a disposizione laboratori didattici all’avanguardia dove ogni studente ha la possibilità di mettere in pratica la teoria appresa durante le lezioni in maniera autonoma ed indipendente, abbiamo una “crime house” in cui gli studenti imparano come eseguire indagini di sopralluogo sulla scena del crimine, e un tribunale didattico in cui durante l’ultimo anno gli studenti si esercitano nell’esporre i risultati ottenuti in laboratorio come se fossero veri e propri periti o consulenti.

È sicuramente qualcosa che manca in Italia, e che potrebbe davvero essere utile per formare in modo migliore gli scienziati forensi. Tuttavia, sono davvero felice di cambiare momentaneamente strada per iniziare un percorso basato strettamente sulla ricerca – è una nuova sfida ma sono sicura che sarà piena di soddisfazioni. 

- Ti manca Sommariva? Torneresti a vivere in provincia?

Nonostante Sommariva mi manchi, mi mancano soprattutto i miei parenti, i miei amici ed i miei amici a quattro zampe – è sempre bello poter tornare a casa e rivedere tutti, anche se sono sempre giorni molto pieni di impegni perché le persone con cui voglio passare il mio tempo sono molte, ed il tempo sempre poco. È però sempre bello tornare per le vacanze, rivedere tutti, ed essere viziati particolarmente dai genitori e dalla mia straordinaria nonna Maria.

Tornerei se avessi la possibilità di fare le stesse cose che sto facendo qui in Inghilterra, ma onestamente, devo ammettere che non sarebbe possibile. Mi accontento di fare il conto alla rovescia per le vacanze!

- Credi che se fossi rimasta in Italia avresti raggiunto questo tipo di soddisfazioni (personali e professionali)?

È brutto da dire, ma purtroppo devo rispondere di no.

L’Italia è un paese che forma gli studenti molto bene, fino al livello della laurea triennale/magistrale, ma al termine di ciò, anche solo riuscire ad iniziare un Dottorato di ricerca con stipendio è per davvero per pochi eletti. Senza contare, poi, che l’esperienza di Dottorato all’estero è decisamente più formativa rispetto a quella italiana (cosa che ho appurato con il passare degli anni parlando con ragazzi e ragazze che invece stavano facendo un Dottorato in Italia), e permette di formare veri e propri futuri ricercatori in grado di guadagnarsi posti a tempo indeterminato da docenti universitari o di vincere bandi di ricerca interamente da soli, senza aiuti esterni di alcun tipo.

Quando mi confronto con i miei colleghi che sono in Italia, ogni volta mi stupisco di come possa essere così diverso lavorare in Inghilterra o in Italia in questo settore. Senza contare, poi, che per me sarebbe stato impossibile fare quello di cui mi occupo ora, perché come ho già spiegato, non esiste un corso di laurea in discipline forensi come invece è presente in Inghilterra.

simone giraudi

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