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Agricoltura | 02 luglio 2019, 07:45

Roaschia in Valle Gesso: l’agricoltura “eroica e genuina” della famiglia Ghibaudo che coltiva terreni e alleva pecore in montagna (FOTO)

Papà Gino, mamma Milena e il figlio Nicolò, 26 anni, con il sogno di fare il pastore fin da piccolo, producono, fra molte difficoltà, patate dal sapore straordinario, fagioli borlotti, castagne e una piccola quantità di mais. Il cereale e il tanto foraggio ricavato dai campi, spesso in pendenza, servono ad alimentare una cinquantina di ovini che, però, soprattutto d’estate, pascolano all’aria aperta. Parecchi lavori devono ancora essere effettuati a mano. E ogni cosa cresce con la garanzia della qualità e della sicurezza alimentare

Nicolò, Milena e Gino in un campo di fieno dell'azienda

Nicolò, Milena e Gino in un campo di fieno dell'azienda

Agricoltura eroica. Non la si può definire in altro modo la lavorazione dei campi nelle Terre Alte. Per le poche superfici in piano coltivabili e le molte in pendenza difficili da curare e nelle quali crescono unicamente i foraggi destinati a fieno o l’erba per il pascolo degli animali ruminanti. Poi, rispetto alla pianura, i pochi mesi in cui ci si può occupare delle colture. Inoltre, i terreni sono spezzettati e spesso di piccole dimensioni. E molti lavori vanno effettuati a mano, in quanto le attrezzature meccaniche non possono essere utilizzate.

A Roaschia, località di un centinaio di residenti con una cinquantina di persone che ci vivono stabilmente, in Valle Gesso, a 820 metri di quota, vicino al Municipio, c’è proprio la sede di una di queste coraggiose aziende agricole. Il titolare è Gino Ghibaudo, classe 1961, diploma di Scuola Media Inferiore e consigliere comunale del paese. Lo aiutano, come coadiuvanti, la moglie Milena, 50 anni, segretaria d’azienda, e il figlio Nicolò, nato nel 1992, perito agrario e presidente del Consorzio per la Valorizzazione e la Tutela delle Patate di Montagna della Valle Gesso “I Balin dal Re” costituito un paio di mesi fa. Mentre nonno Michele, a 89 anni, dà ancora preziosi consigli.

Completa la famiglia Miriam del 1998, geometra e, ora, iscritta alla Facoltà di Architettura di Milano-indirizzo Design degli Interni. A lei, il mondo rurale non è mai interessato. Accanto all’abitazione Gino, Milena e Nicolò hanno la stalla dove allevano una cinquantina di pecore di razza Lacaune, il fienile, il magazzino e quattro giornate di terreno. A cui si aggiungono altre cento giornate di campi e di boschi, parte in proprietà e parte in affitto, sempre nel Comune di Roaschia.

Detto così sembrerebbe un’impresa di grandi dimensioni, ma le superfici sono talmente frammentate in numerosi appezzamenti e a quote molto variabili che, spesso, diventano un problema e non una risorsa. I campi in piano nei quali coltivano patate, fagioli borlotti e mais raggiungono appena la giornata e mezza complessiva, distribuita tra i 750 e i 1.100 metri di altitudine. Quindi ci sono le dodici giornate di castagneto, quelle meno in pendenza dove cresce l’erba e, più in alto, addirittura fino a 1.700 metri di quota, rimane il resto del terreno costituito da altri prati e, soprattutto, da boschi.

Di fronte a così tante difficoltà e parecchia fatica per portare a casa il sostentamento economico la domanda sorge spontanea: come mai questa scelta? Gino: “Già i miei nonni erano pastori di pecore. Dopo, mio padre Michele e mia madre Maria, che adesso non c’è più, hanno continuato l’attività. Durante il periodo invernale facevano la transumanza nell’Astigiano. Io ho sempre dato loro una mano. Sono nato in questo mondo e non ho mai pensato a un altro mestiere. E poi respiri aria buona e quando sei nel campo, magari da solo, ti senti libero, tranquillo e rilassato. Pur, a volte, dovendo affrontare complicazioni non di poco conto”.

Anche Milena è originaria di Roaschia. Ma terminati gli studi aiuta i genitori Silvio, che ha lasciato l’esistenza terrena, e Stella, nella vendita dei formaggi. In provincia di Alessandria e Pavia. Però non perde mai di vista Gino e quando scocca la scintilla si sposano. “Sono entrata - spiega - come coadiuvante nell’attività dei miei suoceri, qua a Roaschia, tre anni prima di mio marito. Praticamente subito dopo il matrimonio. Cosa me lo ha fatto fare? L’amore, senz’altro. All’inizio è stata dura, poi adesso a volte sono più convinta di lui di aver scelto questo lavoro”.

Chi, però, sprizza gioia da tutti i pori per il mestiere è Nicolò. “Volevo fare il pastore - racconta - da quando avevo cinque anni. Accompagnavo sempre mio nonno su per i pascoli, anche se lui non avrebbe voluto in quanto ero piccolo. Ma non riusciva a fermarmi. Quando mia madre mi portava all’asilo con la macchina volevo sempre un agnello vicino a me. Se la passione ce l’hai nel sangue non la puoi soffocare. E non tornerei indietro rispetto alla decisione presa. Certo, spesso, bado di più all’aspetto idealistico che a quello economico. Ma sono nato e cresciuto con questi progetti in testa”.

Mentre parla papà Gino e mamma Milena guardano con immensa gioia loro figlio, perché ha continuato un mestiere che, prima o poi, si sarebbe perso. “Qua abbiamo investito molte risorse - sottolineano i genitori - e ci sarebbe spiaciuto dover chiudere tutto. Anche perché con l’avanzare dell’età la fatica inizia a farsi sentire e solo con l’aiuto di forze giovani puoi andare avanti”.  

QUANDO TUTTO COMINCIO’ E LE PROSPETTIVE FUTURE     

Michele e Maria, genitori di Gino, sono pastori. Negli Anni Ottanta abbandonano la transumanza invernale nell’Astigiano e si stabiliscono in modo stanziale a Roaschia. Intanto acquistano la vecchia cascina di fine 1800, dove ora c’è la sede dell’azienda. Nel 1991 Gino e Milena si sposano. E inizia la sistemazione della struttura rurale. Lei fa il suo ingresso nell’azienda dei suoceri come coadiuvante. Lui, in quel periodo, pur dando sempre una mano, si occupa di un altro lavoro.

Nel 1994 Michele e Maria vanno in pensione. Gino diventa titolare dell’attività. La moglie continua ad essere inserita come coadiuvante. Nicolò entra, anche lui come coadiuvante del padre, a 17 anni con la collaborazione part-time. Poi, nel 2011, dopo il diploma in Agraria, a tempo pieno. Coltivano i campi e allevano pecore da carne di razza Biellese. Pochi mesi fa la scelta delle pecore da latte.

Perché Nicolò sull’allevamento ha in mente un progetto. Da realizzare appena potrà. Dice: “Vorrei aumentare i capi e realizzare una stalla nuova con, insieme, tutti i locali necessari alla mungitura e alla conservazione del latte. E’ un mondo che mi affascina sempre di più. Però, per una nuova struttura, dovremmo trovare un posto fuori paese, nel quale si possano rispettare i vincoli, che sono sempre tanti. Troppi.  Dove abbiamo la sede, infatti, non si può più costruire”.    

LA QUALITA’, LA SICUREZZA ALIMENTARE E LA TRANSUMANZA “QUOTIDIANA”

La famiglia Ghibaudo produce patate, borlotti e mais senza l’uso di sostanze chimiche. L’unico concime utilizzato è il letame prodotto dalle pecore. Tra l’altro, durante la visita all’azienda, in una coltivazione di patate non si vedono insetti: perciò vuol dire che parassiti e malattie in terreni così “sani” non hanno la possibilità di svilupparsi. Ma, seppure le superfici lavorabili siano poche, per assicurare ulteriori protezioni viene anche adottato il metodo della rotazione delle colture. Quindi, qualità e sicurezza alimentare sono davvero garantite.

“Le produzioni - osserva Gino - crescono in modo naturale. Sono buone e genuine. Le pecore vengono alimentate solo con le colture dell’azienda e seguendo i principi del benessere animale. Applichiamo in misura più contenuta l’antica tradizione della transumanza perché gli animali possano muoversi e cibarsi di erba pura”.

Nel periodo maggio-ottobre gli ovini, verso le otto del mattino, con l’aiuto del cane Bric, vengono fatti uscire dalla stalla e accompagnati nei pascoli. A volte sono distanti dall’abitazione poche centinaia di metri, ma in altri casi bisogna percorrere  alcuni chilometri a piedi. Lì si nutrono e si riposano. Di sera, avviene il ritorno nella struttura dell’allevamento. Tutti i giorni. Invece, durante gli altri mesi, a parte quando nevica, l’uscita si effettua comunque, ma solo qualche ora e nei campi vicino a casa. Per fare in modo che gli animali non scappino e per proteggerli dalla fauna selvatica i terreni del pascolo sono protetti con delle recinzioni elettrificate. L’erba brucata dalle pecore viene integrata dal fieno e dal mais distribuito nella stalla.

“Questo - spiega Gino - soprattutto durante l’inverno perché, fuori, trovano poco nutrimento. E allora sopperisci con il foraggio immagazzinato nel periodo estivo. E ne serve davvero tanto. Gli animali per stare bene devono mangiare. E mangiare cibo genuino”.

La vostra è una produzione biologica? Nicolò: “La certificazione non ce l’abbiamo semplicemente perché, visto il modo naturale con il quale produciamo, non ci serve proprio. Tutti possono vedere come si lavora. Un tempo l’avevamo chiesta per i castagneti, ma poi è stato lo stesso tecnico a sconsigliarcela: era una spesa in più e non portava benefici economici nella vendita”. Aggiunge Gino: “Un cliente astigiano da diversi anni compra le patate. Una volta, a nostra insaputa, le ha fatte assaggiare a un amico che è un tecnico delle analisi di laboratorio. Dopo averle controllate gli ha detto: “Così sane e naturali non le avevo mai trovate”.

Come mai anche il sapore delle patate di montagna è davvero buono? “Nel nostro caso abbiamo la fortuna di lavorare in una valle con i campi ricchi di argilla e senza la necessità di essere irrigati. Due caratteristiche determinanti per conferire al tubero un gusto unico e straordinario”.  

LA VENDITA DEI PRODOTTI

Le patate e i fagioli borlotti vengono venduti direttamente in azienda. Le castagne prendono la strada dei grossisti. Le pecore quella dei commercianti del settore. In attesa di poter sfruttare anche il latte. Gli ovini vengono tosati, però la lana non è più, come un tempo, un’entrata economica, ma un costo, perché adesso è considerata un rifiuto speciale da smaltire.  Inoltre, i tanti boschi disponibili consentono di avere la legna da ardere per l’autoconsumo e per lo smercio a chi ne fa richiesta.

“I nostri prodotti - osserva Milena - sono buoni, genuini e facciamo tanta fatica per ottenerli. Comprarli significa anche aiutare le aziende svantaggiate di montagna che, altrimenti, sarebbero costrette ad abbandonare questi luoghi”.     


I MOLTI PROBLEMI…

Milena, Gino e Nicolò: “L’agricoltura di montagna è troppo trascurata dalle Istituzioni. Tante parole, ma pochi fatti concreti e parecchi intoppi. Prendiamo i contributi della Politica Agricola Comune: nella domanda non ci accettano molte superfici. Ad esempio quelle coltivabili dove c’è l’ombra delle piante. Che, a volte,  sono nemmeno nostre come è successo con gli alberi ai bordi della strada provinciale. Un’assurdità. Altra questione? Ci dicevano che un terreno coltivato a loro, invece, risultava essere un pascolo, in quanto era troppo in pendenza. Ma come fanno a stabilire le cose se esaminano le pratiche a tavolino?”.

Di cosa ci sarebbe bisogno? “Le nostre terre già rendono poco e i contributi sono minimi. Perciò servirebbero delle norme per le zone montane in grado di semplificare le procedure, in quanto i nostri problemi sono diversi e decisamente più complessi rispetto a quelli delle aziende di pianura. Altrimenti, se non riesci a incassare il minimo sostentamento economico, a un certo punto ti stufi e lasci perdere”.

Ma non solo. “Si parla tanto di turismo montano. Però, per avere i turisti prima bisognerebbe investire sulle persone che curano il territorio, coltivano verdura e frutta, allevano animali e consentono, poi, a chi viene in queste terre, di acquistare i prodotti e di godersi il paesaggio tenuto in buone condizioni da chi ci lavora. Altrimenti, se è tutto abbandonato, arriva nessuno”.  

Le attrezzature? “In tantissimi terreni non possiamo usarle. E comunque dove le utilizzi devi sempre fare molta attenzione perché i campi non sono livellati e allora l’usura delle macchine è decisamente più veloce. Magari ti fai il conto: “Quest’anno ho guadagnato qualcosa in più con le patate e il prossimo compro un macchinario nuovo. Invece, si rompe uno di quelli che avevi e i soldi devi impiegarli per aggiustarlo”.

E ancora. “Quando devi fare i conti con una stagione brutta dal punto di vista meteorologico raccogli poco. E questo ti demoralizza”.

Gli animali selvatici? “Sono uno dei tanti problemi della montagna. Soprattutto i cinghiali, perché ormai crescono numerosi in quanto ci sono troppi boschi abbandonati. Distruggono ogni cosa. Oltre alle coltivazioni, fanno delle buche nel terreno che dopo va di nuovo livellato. Per combatterli, proteggiamo con le reti elettrificate i campi dedicati al pascolo delle pecore e quelli della coltivazione delle patate. Un altro costo rilevante”.      

…MA ANCHE QUALCHE SODDISFAZIONE

Milena, Gino e Nicolò: “Nonostante i problemi sono comunque tante. Ad esempio quando raccogli le patate e vedi che sono belle è una soddisfazione grandissima. Perché ci sono degli anni che lavori allo stesso modo, le stesse ore e con lo stesso impegno, ma il risultato è meno gratificante. Così come è tanta la soddisfazione di veder tornare il cliente perché è rimasto contento del prodotto acquistato”.  

Mamma Milena ci lascia con una frase capace di andare diritta al cuore: “In montagna speri sempre nel bel tempo e in Dio che ci aiuti nel cammino di ogni giorno”. Fatalismo? Non crediamo. Al contrario, è un sentimento profondo di chi vive consapevole delle difficoltà quotidiane, però è comunque deciso ad affrontarle con determinazione. Come hanno fatto e stanno facendo Gino e Milena.  La figlia Miriam diventerà architetto, invece Nicolò è rimasto con loro. A faticare ogni giorno su quei terreni in pendenza in quanto crede nel lavoro che ha scelto e lo vuole portare avanti a tutti i costi. Seguendo le tradizioni contadine di una famiglia coraggiosa e legata alle proprie radici, però con lo sguardo rivolto ai possibili percorsi di sviluppo innovativo. Il futuro dell’azienda è nelle sue mani.    

Sergio Peirone

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