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Agricoltura | 13 novembre 2018, 07:45

La storia di Franco Viano: pioniere della coltivazione del tartufo nero pregiato a Montemale e in Valle Grana (FOTO)

I primi impianti li ha realizzati nel 2002. A distanza di 16 anni i risultati sono soddisfacenti, ma hanno richiesto sacrifici, tanto impegno, molto lavoro e alcune delusioni. Ora c’è anche un’Associazione alla quale aderiscono 24 tartuficoltori. “All’inizio - dice Franco - nella valle non capivano la mia scelta e mi davano del matto”.

Franco Viano con Bea alla ricerca del tartufo e una manciata di neri uncinati

Franco Viano con Bea alla ricerca del tartufo e una manciata di neri uncinati

Da Valgrana si percorre la strada verso Montemale. Dopo un paio di chilometri c’è la deviazione che porta a Cappella Vecchia in frazione San Giorgio. Un percorso sterrato lungo il quale ha sede l’azienda agricola di Franco Viano, con l’abitazione costruita nel 2014 circondata dal verde. Immerso nella pace e nelle incantevoli meraviglie paesaggistiche offerte dal luogo respiri il sapore autentico della natura.

Ma c’è un altro profumo che durante l’autunno e l’inverno può inebriarti di magiche emozioni: quello del tartufo nero pregiato appena raccolto. Una squisita eccellenza della zona la cui storia è profondamente legata a quella di Franco, classe 1968, fino a 39 anni autista dei bus di linea e poi pioniere nella coltivazione e nella promozione del prezioso fungo la cui crescita avviene sottoterra in assoluta simbiosi con le radici di alcune piante, come la roverella (un tipo di quercia), il nocciolo e il carpino. “La mia - dice Franco - è stata una scelta di vita”. 

Ma andiamo con ordine. Siamo all’inizio degli Anni Novanta. “Allora - racconta Franco - ero un cacciatore. Mi è sempre piaciuto camminare. Durante le battute in Valle Grana incontravo spesso persone con una cane non da caccia che provenivano da altre zone della “Granda”: Alba; Ceva; Mondovì. Alla domanda su cosa stessero facendo mi rispondevano di cercare il tartufo nero. La cosa mi ha stuzzicato parecchia curiosità. Nel 1998 ho abbandonato la caccia, anche perché demotivato dalla troppa rivalità che si creava tra “colleghi”, mi sono comprato un cane - 400 mila lire - considerato a fine carriera e ho iniziato anche io a fare il cercatore libero di quegli “strani” funghi. E con grande sorpresa li trovavo”.

Però, non erano tutte rose e fiori? “Anche in questo caso dovevi confrontarti con altri “rivali”.  In vallata prima di me avevano iniziato due persone. Ma soprattutto erano quanti arrivavano dal resto della provincia che ti tagliavano fuori dai giochi: loro possedevano dei cani che erano delle “Ferrari” e tu una “500”.

Per cui, serviva cambiare percorso? “Infatti. Alcuni amici francesi mi avevano informato della possibilità di coltivare il tartufo. Allora sono partito per Valensole in Provenza: una zona tipica di produzione della lavanda e di quel fungo. Lì, ho scoperto che si poteva fare. L’entusiasmo era alle stelle. Ma il terreno doveva avere caratteristiche particolari e, soprattutto, essere alcalino”.

Franco fa analizzare l’area di 10 mila metri quadrati dove adesso ha l’abitazione: va bene per ospitare il tartufo nero. La compra. E nel 2002 acquista, da una ditta d’Oltralpe, 70 piantine alte una decina di centimetri di nocciolo e roverella sulle cui radici sono state inoculate parti di tartufo nero. Il nome tecnico è micorrizate. E inizia l’avventura della coltivazione, realizzando la prima tartufaia. “Nella valle - sottolinea Franco - non capivano la mia scelta e mi davano del matto”.

Tuttavia la passione per questa nuova impresa diventa ancora più coinvolgente. Negli anni successivi Franco impianta altri esemplari comprati da un’azienda di Alessandria. Nel 2007, sono complessivamente 300. Intanto la Regione Piemonte lo conosce, viene invitato al Salone del Gusto per illustrare il suo percorso totalmente innovativo e, nell’ambito di un progetto transfrontaliero con la Francia, si ritrova, regalate, altre 250 piantine da sperimentare.

L’entusiasmo cresce ancora, anche perché cominciano a vedersi i primi, seppure pochi, tartufi: quindi i primi risultati concreti di quella pazzia iniziale. Il terreno, però, non basta più perché da una pianta all’altra la distanza, su tutti lati, per ottenere un buon successo della coltura, deve essere attorno ai sei metri. Franco acquista altri appezzamenti a Montemale. Nel 2008 le giornate piemontesi diventano sette e le tartufaie contano più di 500 piante.

Ma lo attendono una novità positiva e una negativa. Il vivaio regionale Gambarello di Chiusa Pesio inizia a produrre micorrizate che mette a disposizione di quanti della Valle Grana, con terreni adatti, decidono di coltivarle. Franco ne impianta sul terreno ancora libero altre 300. Però, i primi esemplari comprati, a caro prezzo, in Francia, non funzionano come dovrebbero. “Mi sono ritrovato a doverli sostituire - afferma - buttando via oltre cinque anni di impegno. Un problema che è da addebitare alla loro difficoltà di ambientazione, perché nate a 400 metri sul livello del mare e impiantate a 700 metri di quota con un clima differente. Questa è stata la fase più brutta della mia attività. Compensata, però, dal buon lavoro svolto dal vivaio Gambarello le cui micorrizate erano ottime dal punto di vista della tecnica di instillazione dei semi di tartufo sulle radici e dell’attecchimento sul terreno”.

Le tartufaie di Franco aumentano ulteriormente: adesso ha 930 piante distribuite su 12 giornate piemontesi. Tutte recintate. Inoltre, si occupa di un castagneto con una sessantina di esemplari innestati a marrone locale dal papà Mario: un grande appassionato della coltura purtroppo mancato due anni fa. Con una produzione di cinque quintali l’anno. E, per arrotondare gli introiti, perché la rendita del tartufo è altalenante a seconda delle stagioni, integra l’attività agricola con lavori a chiamata. 

Nel corso degli anni, però, altre persone della zona si interessano al percorso di coltivazione del tartufo nero e nasce l’Associazione Tartuficoltori Valle Grana. Il presidente è lo stesso Viano, il segretario Gianfranco Ellena e il tesoriere Diego Giordano. Ora aderiscono 24 aziende che in totale, compresa quella di Franco, sfruttano una trentina di giornate piemontesi pur divise in moltissimi e frazionati appezzamenti di minima estensione. E le piante messe a dimora sono in totale 3000.  

“NON E’ FACILE COME POTREBBE APPARIRE”

“Spesso - afferma Franco - le persone collegano le tartufaie solo alla montagna di soldi che potrebbero rendere. Invece, non è così. Per iniziare a vedere i primi risultati della produzione passano almeno sei anni. Quindi, si tratta di un costoso investimento iniziale di cui non conosci i frutti per un po’ di tempo. Poi, le stagioni sono molto diverse come resa e come prezzo. Lo scorso anno, caratterizzato dalla siccità, irrigando 18 volte e pur avendo esemplari non ancora entrati in produzione, tutte le mie piante hanno “sfornato” 3,3 chili di tartufo. Niente rispetto a un’annata normale in cui ogni giornata di terreno ti rende in media qualche chilo”.    

Inoltre, c’è il lavoro che richiede la coltivazione? “Se pensi di impiantare una tartufaia, abbandonarla per cinque anni e poi sperare di raccogliere qualcosa hai sbagliato mestiere. Perché non troverai nulla o la pianta te l’avrà mangiata qualche animale. La coltura richiede pazienza, attenzione e tantissimo lavoro. In pratica devi creare lo stesso habitat di un bosco naturale, rispettando le distanze tra una pianta e l’altra e gestendone la crescita”. 

Nel concreto? “Il tartufo è molto delicato e, quello nero pregiato, che è il più diffuso, ha bisogno di molta luce. Quando metti a dimora le piante di una decina di centimetri a sei metri di distanza tra di loro ti sembrano piccoli chicchi in un deserto. Dopo, in poco tempo crescono. E allora devi iniziare la loro potatura. Sempre. Io le tengo al massimo alte due metri proprio perché i raggi del sole possano entrare in contatto con il terreno sotto il quale ci sono le radici. Altrimenti se i rami della pianta coprono la parte bassa il tartufo non crescerà mai. Invece, al tartufo nero uncinato, che al momento produco solo io e ha un sapore leggermente diverso, serve maggiore ombra per nascere. Per cui, il taglio dei rami va effettuato in modo più contenuto. In entrambi i casi, però, la potatura della parte alta della pianta irrobustisce l’apparato radicale che è quanto ti interessa in quanto proprio attaccato alle radici nasce il fungo”.

Ma non solo. “Il terreno attorno alla pianta non deve diventare compatto e asfittico, ma essere soffice, arieggiato, vivo e dinamico. Di conseguenza, ogni anno va zappettato a mano per non rovinare le radici. Adesso ho acquistato uno strumento meccanico che mi aiuta nel lavoro, ma occorre fare molto attenzione nell’usarlo proprio per non danneggiare quanto sta sotto la terra. Poi l’irrigazione, quando serve, deve avvenire singolarmente per ogni pianta e mai a scorrimento in quanto il tartufo non sopporterebbe il ristagno idrico. E non si usano sostanze chimiche perché distruggerebbero l’ambiente naturale impedendo la nascita del fungo”.

Un’attività impegnativa che scoraggia chi vorrebbe tentare la coltivazione. “Infatti. Primo perché devi avere il terreno con le caratteristiche adatte. Poi sono venuti in molti a capire come si svolgeva il lavoro. Ma quando ho spiegato il percorso da fare e gli interventi necessari hanno perso tutti l’entusiasmo iniziale. Se il tartufo valesse poco è perché sarebbe facile ottenerlo. Al contrario, richiede molto impegno, sacrificio e rischio: per questo ha un certo prezzo”.  

LA RACCOLTA, LE PEZZATURE E IL PREZZO

Il calendario di raccolta del nero pregiato è dal 15 novembre al 15 marzo, quella del nero uncinato da inizio settembre a fine novembre. Elemento fondamentale per il lavoro è il cane. Franco ne possiede tre: Bea, 5 anni; quindi Briciola e Diana, 9 anni. “Ci deve essere - precisa - totale sintonia tra l’animale e l’uomo. Il cane, sentendone il profumo, ti segnala il posto dove c’è un tartufo maturo e allora tu scavi a mano fino a quando lo trovi”. 

Il ciclo vitale tra la nascita e la maturazione è almeno di tre mesi. Le pezzature massime sono attorno ai due etti, quelle minime di cinque grammi. La più richiesta è quella compresa tra i 30 e i 90 grammi. Il prezzo medio nel periodo “clou” della stagione va dai 60 ai 90 euro l’etto. 

LA VENDITA

“Vendiamo - osserva Franco - soprattutto in provincia di Cuneo, però ora che tutti i soci stanno iniziando a produrre di più speriamo di allargare i confini. Le prospettive di crescita sono buone. I clienti? Una ventina di ristoratori e molti privati che hanno conosciuto le qualità del nostro prodotto e ne sono rimasti “innamorati”. Ormai ce lo ordinano telefonicamente e lo vengono a ritirare in azienda. Il boom degli acquisti, neve permettendo per raccoglierlo, è nel periodo natalizio e a Carnevale”.    

COME SI MANGIA E LA CONSERVAZIONE

Il profumo del tartufo nero è molto intenso. Per gustarne appieno il sapore va mangiato appena raccolto e soprattutto “grattato” su piatti caldi, come uova o tagliatelle. Perché è in questo modo che esprime tutte la sue potenzialità organolettiche. Sui piatti freddi bisogna saperlo preparare e abbinare. Può anche essere conservato in frigorifero per qualche giorno, ma avvolto nella carta casa che va cambiata quando è umida in quanto ha assorbito l’acqua dispersa dal fungo.

“L’errore più grande - spiega Franco - è quello di metterlo in un vasetto di riso poi sistemato in frigorifero. Quando lo tiri fuori il tartufo è pieno di muffa e vale più nulla. Ai miei clienti dico sempre prenotatelo qualche giorno prima di quando lo volete mangiare. Se le condizioni del terreno lo permettono lo raccolgo al momento e glielo consegno fresco. Questo modo di lavorare è stato il miglior investimento che si potesse fare perché chi l’ha acquistato dopo si complimenta per l’ottimo prodotto che gli hai venduto”.  

LE SODDISFAZIONI

Franco: “Nei primi anni vendere il tartufo nero era un’impresa difficile. Nessuno lo conosceva e noi coltivatori della Valle Grana rappresentavamo la ruota di scorta di quello bianco dell’Albese. Mettendo in campo molta promozione, con visite guidate alle tartufaie, degustazioni, serate a tema la situazione è migliorata. Adesso, dopo sedici anni, pur continuando ad avere un prodotto di nicchia, anche come Associazione siamo soddisfatti dei risultati raggiunti. E io lo sono a livello personale, perché mi chiamano come relatore a convegni nazionali e internazionali del settore. L’Università dell’Oklahoma e quella di Perugia nel 2012 hanno analizzato il nostro tartufo nero e, come qualità organolettiche, lo hanno definito uno dei migliori esistenti sul mercato”.   

IL VALORE TURISTICO DI UN PRODOTTO

Franco: “Quando abbiamo costituito l’Associazione l’abbiamo voluta chiamare Tartuficoltori Valle Grana per un paio di motivi. Il primo è perché comunque l’area dove il terreno è adatto alla coltivazione del tartufo - l’abbiamo censito dal punto di vista tecnico - va da Caraglio a Pradleves, anche se Montemale resta il luogo più vocato e comunque il tartufo è conosciuto per essere di Montemale. E poi c’è un obiettivo turistico. Con il nostro prodotto vogliamo portare beneficio a tutta la valle. Quando arrivano i bus di turisti è vero che vengono subito da noi, ma poi acquistano anche i prodotti di altre aziende e pranzano nella zona. Sono risorse economiche importanti che restano lì. Abbiamo sempre pensato che dire tartufo nero significasse anche identificare un territorio. Nel nostro caso la Valle Grana. E allora le persone dobbiamo portarle da noi e non andare in giro a proporci”.  

“LE LEGGI SULLA COLTIVAZIONE SONO ASSURDE”

“Le Istituzioni non capiscono - conclude Franco - lo straordinario valore turistico che un prodotto può avere per il territorio. E non aiutano chi investe. Il nostro tartufo nero è un traino per l’intera valle. E poi si parla di spopolamento delle montagne e di terreni incolti”.

Cosa c’è che non va? “Nel Programma di Sviluppo Rurale, la Regione Piemonte ha promosso un bando ma dalle nostre parti nessuno è riuscito a partecipare perché c’erano dei paletti per noi impossibili da rispettare. Al vivaio Gambarello hanno ridotto i finanziamenti e adesso producono poche piante micorrizate. Occorre andare a comprarle in Spagna. Il tartufo in Italia - unico Paese dell’Unione Europea - non è considerato un prodotto agricolo. Di conseguenza, si creano molti problemi fiscali nella gestione dell’azienda. E per una norma forestale le piante potrebbero essere potate solo dopo aver chiesto l’autorizzazione, perché le tartufaie vengono considerate un bosco. Le Leggi sulla coltivazione del tartufo sono davvero assurde”.  

Sergio Peirone

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